Il tema della mostra che Rem Koolhaas curerà al Guggenheim di New York nel 2019, propone alimenti alternativi e pratiche partecipative che mettono in evidenza le implicazioni etiche e ambientali legate alla coltivazione e al consumo del cibo
L’agricoltura è responsabile per il 40% delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo, metà delle quali proviene dall’allevamento di bestiame. La deforestazione, la lavorazione del terreno e l’utilizzo intensivo a pascolo favoriscono l’emissione di carbonio anche dalle piante e dalla biomassa. E se nel 2050 la popolazione mondiale è stimata in 9,2 miliardi di persone, la ricerca di un modo più ecologico, etico ed efficiente di nutrire gli uomini non è più procrastinabile. Sono sempre più numerosi i designer che si interrogano su questi temi in modo più o meno speculativo, con la finalità di proporre scenari alternativi ‘dal basso’, consapevoli che è da ecosistemi fuori rete e autosufficienti che si può innescare il cambiamento. La food designer olandese Marije Vogelzang, curatrice della Embassy of Food alla scorsa Dutch Design Week, sostiene: “La maggior parte delle persone immagina che il futuro sia determinato soltanto da potenze superiori: governo, politici o corporazioni. Mentre la nostra cultura gastronomica, attivamente ricreata ogni giorno, è realizzata dalle singole persone. I designer non salveranno il mondo, ma possono essere connettori creativi che interrompono l’attuale sistema alimentare, incoraggiando il cambiamento nei comportamenti e presentando alternative”. Tra le prime iniziative sviluppate in questo senso la conferenza Protofarm 2050 di Design Indaba del 2009, dove il duo Dunne & Raby ha presentato il progetto Foragers: una serie di strumenti indossabili, capaci di estrarre valore nutrizionale da materia organica solitamente non commestibile, unendo fondamenti di biologia sintetica a nuovi dispositivi elettronici e meccanici. Un’analoga ricerca sperimentale è oggi condotta da The Centre for Genomic Gastronomy, un gruppo di esperti, guidato da artisti, che esamina le biotecnologie e la biodiversità dei sistemi alimentari umani. Solo il 2% della superficie del mondo è costituito da città, dove vive il 50% della popolazione globale. Ma in che modo si è evoluto il paesaggio non urbano in quest’epoca dominata dall’intervento dell’uomo? Se lo domanda Rem Koolhaas con AMO, il think tank dello studio OMA da lui capitanato, che nell’autunno 2019 occuperà l’intero spazio del museo Solomon R. Guggenheim di New York con la mostra “Countryside: Future of the World”. Nel tentativo di riconnettere l’‘uomo urbano’ con l’agricoltura, Carlo Ratti Associati ha realizzato una serra idroponica condivisa per FICO Eataly World a Bologna. Ciascun visitatore può piantare un seme nella serra e controllarne la crescita grazie a un’app connessa a una serie di sensori che registrano lo stato di germogliazione. Ci prova l’orto su chiatta di Mary Mattingly a Concrete Plant Park, Bronx River, New York City. Swale – così si chiama la floating food forest ci chiede di riconsiderare i nostri sistemi alimentari, di pensare al cibo come a un diritto umano e di cercare modi per creare cibo pubblico nello spazio pubblico. Saremo entomofagi nel prossimo avvenire? L’organizzazione no-profit danese Nordic Food Lab dimostra che mangiare insetti è più vicino alla nostra cultura alimentare di quanto si pensi, ma anche una scelta di biodiversità che può attivare processi di sostenibilità alimentare globale, considerando l’aumento del fabbisogno alimentare del 70% previsto nel 2050 (statistica FAO). Studio H, un gruppo di food designer di Cape Town (Sudafrica), ha presentato il progetto di una dispensa alimentare in collaborazione con l’olandese Salt Farm Texel che, negli ultimi dieci anni, ha realizzato colture di ortaggi irrigati con acqua di mare. Con Plant15, la designer olandese Doreen Westphal ha proposto salsicce vegetali ricavate dagli scarti dei funghi ostrica coltivati in Olanda, massimizzando l’industria locale. Analogamente, la diplomata ECAL Carolien Niebling ha progettato, in collaborazione con lo chef Gabriel Serero di Losanna, le salsicce del futuro contenenti poche proteine da bestiame, evidenziando i modi con cui tale alimento, storicamente radicato nella cultura di molti Paesi europei, è confezionato.
La produzione del cibo è da sempre una questione di design.